Malasanità e Responsabilità Medica

Malasanità e responsabilità medica: la Cassazione torna sulla questione

Malasanità (a cura di Michela Fusco)

Ancora una volta, dopo l’ormai noto provvedimento “rivoluzionario” del Tribunale di Milano n. 9693 del 17 luglio 2014 con il quale i giudici milanesi hanno stabilito che la responsabilità del medico ospedaliero è di natura “extracontrattuale”, la Suprema Corte con la sentenza n. 22876/2015 del 10.11.2015 torna a pronunziarsi in materia di malasanità su una tematica tanto “scottante” quanto delicata, la “responsabilità professionale medica”, precisandone ulteriormente i confini. 

La vicenda riguarda il ricorso proposto da un medico in un giudizio di risarcimento danni promosso nei suoi confronti, giudizio che ha accolto la domanda del paziente ed, accertata la responsabilità del medico, l’ha condannato al risarcimento dei danni. Malasanità e Responsabilità Medica

Il concetto che ha meritato un approfondimento di rilievo nella citata pronuncia è quello del “nesso causale”: “Nel giudizio civile – diversamente da quel che avviene in sede penale – lo standard probatorio legale è quello del più probabile che non (preponderance of evidence)”. 

Gli ermellini hanno affermato con chiarezza e sinteticità che l’unico iter logico che può portare all’accertamento l’accertamento della responsabilità medica comporta che non si possa ricostruire il fatto in via automatica sulla base del mero coefficiente di “probabilità” espresso dalla legge statistica, ma debba prendere in considerazione tutte le circostanze del caso concreto ed escludere che, nella concatenazione causale, sia intervenuto un altro fatto di per sé idoneo a determinare l’evento. 

Pertanto, la “causalità” della colpa del medico, nel caso di specie, deve concretarsi nel passaggio logico dell’accertamento scientifico dell’evento lesivo e, del riscontro della corretta imputazione al medico della ripetuta violazione di norme di natura precauzionali (nella fattispecie de qua, l’intubazione e la somministrazione di un farmaco giudicato del tutto controindicato hanno portato all’ipossia, causa della morte del paziente). Il comportamento del medico diviene quindi condizione necessaria dellevento lesivo solo se “eliminando mentalmente la condotta della ricorrente, non abbiamo alcun elemento per ritenere o anche solo nutrire il dubbio che la morte sarebbe avvenuta lo stesso in quel momento e con quelle modalità”.

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