Concorrenza sleale e diritto al nome

Concorrenza sleale e diritto al nome

Concorrenza sleale e diritto al nome – Due società con lo stesso nome – Concorrenti con uguale ragione sociale – Concorrenza e ramo d’azienda

Giovanni Adamo

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Concorrenza sleale e diritto al nome: cosa succede quando vi sono due società con lo stesso nome

Un team dello Studio ha ottenuto un’interessante Sentenza del 22 maggio 2019 avanti il Tribunale di Bologna (Sentenza CONSULTABILE QUI) in materia di rapporto tra concorrenza sleale e diritto al nome. Si trattava, nel caso di specie, di due concorrenti con uguale ragione sociale. Due società con lo stesso nome che agivano nello stesso settore merceologico a seguito della conclusione di un contratto di cessione di ramo d’azienda.

Concorrenti con uguale ragione sociale: la vicenda

La società X adiva il Tribunale di Bologna chiedendo che venisse inibito l’utilizzo del proprio nome alla Soc. Y, alla quale diversi anni prima aveva ceduto un ramo della propria azienda e, con esso, il diritto ad utilizzare l’insegna recante, appunto, il proprio nome. Gli attori, in particolare, lamentavano la lesione del diritto al nome e la sussistenza degli estremi della slealtà concorrenziale per avere, la società convenuta, utilizzato il proprio patronimico anche a fini pubblicitari e promozionali, sia in formato cartaceo che tramite web.

Concorrenza sleale e diritto al nome: la decisione

Il Tribunale di Bologna ha in primo luogo escluso che nel caso di specie si potesse configurare la lamentata lesionenon essendo ravvisabile una finalità di carattere denigratorio nell’uso del nome da parte della società convenuta.

Concorrenza e ramo d’azienda: se la possibilità di usare un nome non è esclusa dal contratto di cessione è consentita

Il Tribunale, ancora, ha escluso anche che nel caso di specie potesse configurarsi la fattispecie della concorrenza sleale di cui all’art. 2598, n. 1 c.c. specificando che, non essendo esclusa nel contratto di cessione di ramo d’azienda la possibilità di utilizzare il nome dell’attore al di là di un suo impiego come insegna “lautorizzazione ad utilizzare la locuzione de qua anche per attività pubblicitarie deve, per ciò, ritenersi insita nella pattuita cessione di azienda con facoltà d’uso dell’insegna suddetta”. Il Tribunale ha chiarito, fra l’altro, che: “l’attività promo-pubblicitaria è strettamente connessa e strumentale all’attività di impresa, per cui l’esercizio della prima, salvo pattuiti divieti, spetta ineluttabilmente al soggetto legittimato all’esercizio della seconda”.

Alla luce delle considerazioni esposte, pertanto, il Tribunale di Bologna rigettava le domande proposte dagli attori.

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