Concorrenza sleale e pratiche commerciali scorrette
Pratiche commerciali scorrette e concorrenza sleale – Le implicazioni della Sentenza 17037/2024 della Corte di Cassazione
Pratiche commerciali scorrette e concorrenza sleale nelle pratiche commerciali – Concorrenza sleale e tutela del consumatore – La Sentenza 17037 del 2024 della Corte di Cassazione
Introduzione
Le imprese di qualunque dimensione e settore devono oggi confrontarsi con una molteplicità di normative che regolano la leale competizione tra operatori economici e la protezione dei consumatori. In particolare, due aree che spesso vengono confuse – talvolta anche in sede giudiziaria – sono pratiche commerciali scorrette e concorrenza sleale.
Da un lato, le pratiche commerciali scorrette fanno riferimento alle condotte che l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) o altri organi competenti considerano lesive dei diritti dei consumatori; dall’altro, la concorrenza sleale riguarda le azioni degli imprenditori che danneggiano altri imprenditori, con un impatto su tutto il sistema di mercato.
La recente Sentenza 17037 del 2024 della Corte di Cassazione ha fatto chiarezza su un aspetto centrale: in un giudizio civile tra imprese, un provvedimento emesso dall’AGCM su una pratica commerciale scorretta non può essere automaticamente recepito dal giudice civile come prova di illiceità ai fini della concorrenza sleale. I motivi? Le due discipline si riferiscono a presupposti, obiettivi e tutele diversi.
La Sentenza ha statuito che:
“Nel giudizio civile il provvedimento emesso dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) relativo ad una pratica commerciale scorretta non può fare stato automaticamente come accertamento d’illiceita nella materia della concorrenza sleale tra imprenditori; infatti le due discipline hanno diverso oggetto e finalità: quella sulle pratiche commerciali scorrette riguarda le condotte dell’impresa verso i consumatori mentre quella sulla concorrenza sleale riguarda le condotte tra imprenditori e tutela della libera competizione”.
In questo articolo vedremo come la giurisprudenza interpreta il rapporto tra concorrenza sleale e tutela del consumatore, così da fornire alle aziende un quadro di riferimento chiaro per orientarsi.
Pratiche commerciali scorrette: definizioni generali e quadro normativo
Definizione di pratiche commerciali scorrette
Le pratiche commerciali scorrette sono definite dal Codice del Consumo (D.lgs. n. 206/2005, in particolare agli articoli 18 e seguenti) come quelle condotte poste in essere dalle imprese che risultano, in modo contrario ai doveri di buona fede, idonee a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore medio.
Più in concreto, si parla di pratiche commerciali scorrette quando un operatore economico:
- Fornisce informazioni ingannevoli o incomplete ai consumatori sulle caratteristiche di un bene o di un servizio (prezzo, qualità, condizioni contrattuali, ecc.);
- Adotta metodi di pressione psicologica o marketing aggressivo per indurre all’acquisto;
- Occulta informazioni indispensabili per il consumatore affinché compia una scelta economica consapevole.
Il ruolo dell’AGCM
In Italia, l’organo competente a vigilare e a sanzionare le pratiche commerciali scorrette è l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. L’AGCM può ricevere segnalazioni da parte dei consumatori, di associazioni di categoria, di altre istituzioni e, una volta avviato un procedimento, può sanzionare le imprese responsabili di condotte illecite.
Le sanzioni comminate possono essere molto elevate e sono finalizzate a tutelare il corretto funzionamento del mercato dal punto di vista dei consumatori. L’AGCM non sostituisce il giudice civile: i suoi provvedimenti hanno lo scopo primario di accertare e reprimere condotte scorrette nei confronti dei consumatori, non di regolare le controversie fra imprenditori.
Finalità della normativa sulle pratiche commerciali scorrette
La finalità principale di questa disciplina è la tutela del consumatore. Se un’impresa adotta condotte ritenute ingannevoli, aggressive o altrimenti scorrette, il consumatore deve essere protetto, anche con rimedi risarcitori o restitutori, e la pratica commerciale deve essere fermata (o modificata) tempestivamente.
La ratio di queste norme è salvaguardare la trasparenza del mercato: se le imprese seguissero liberamente strategie ingannevoli o manipolatorie, ciò non solo lederebbe i diritti dei consumatori, ma deformerebbe la concorrenza, mettendo in difficoltà gli operatori che rispettano le regole.
Concorrenza sleale: definizione, fonti normative e tutele
Definizione di concorrenza sleale
La concorrenza sleale è disciplinata dall’art. 2598 del Codice Civile (ci siamo già occupati della fattispecie, in particolare in QUESTO ARTICOLO), che elenca una serie di fattispecie tipiche:
- Atti di confusione: l’utilizzo di nomi o segni distintivi idonei a generare confusione con l’attività, i prodotti o i servizi di un concorrente.
- Denigrazione: la diffusione di notizie e apprezzamenti sui prodotti o sull’attività di un concorrente, atti a determinarne il discredito.
- Appropriazione di pregi altrui: millantare una qualità non posseduta o spacciarsi per eredi di un’impresa rinomata.
- Ogni altra attività contraria ai principi della correttezza professionale ed idonea a danneggiare l’altrui azienda.
Fonti normative
Oltre al Codice Civile, vi sono altre fonti normative a protezione della concorrenza, come la legge antitrust (L. n. 287/1990), che si occupa però principalmente di abusi di posizione dominante e intese restrittive della concorrenza. In questo ambito, anche l’AGCM può intervenire, ma con finalità diverse rispetto a quelle delle pratiche commerciali scorrette.
Finalità della disciplina in materia di concorrenza sleale
Le norme sulla concorrenza sleale mirano a garantire lo svolgimento corretto, su binari di liceità, della normale attività concorrenziale tra le imprese, evitando che alcuni operatori ottengano un vantaggio competitivo con pratiche disoneste. Qui la tutela è rivolta agli imprenditori onesti e al corretto funzionamento del mercato.
L’obiettivo non è la protezione del consumatore in quanto tale, bensì il rispetto delle regole di correttezza professionale tra chi opera nello stesso mercato. In un contesto di concorrenza sana, le aziende sono spinte a migliorare i propri prodotti e servizi, favorendo così l’innovazione e la crescita economica generale.
La relazione tra disciplina della concorrenza sleale e pratiche commerciali scorrette – Rapporto tra concorrenza sleale e tutela del consumatore
Concorrenza sleale e tutela del consumatore – Le due discipline, pur essendo entrambe presidiate dall’AGCM e dal Codice del Consumo da una parte e dal Codice Civile dall’altra, si collocano su piani complementari ma distinti:
- Soggetti tutelati:
- Pratiche commerciali scorrette: l’obiettivo è tutelare i consumatori.
- Concorrenza sleale: l’obiettivo è tutelare gli imprenditori e il mercato.
- Autorità competente:
- Pratiche commerciali scorrette: l’AGCM è l’ente preposto all’accertamento e alla sanzione delle violazioni nei confronti dei consumatori.
- Concorrenza sleale: il giudice civile e, in alcuni casi, l’AGCM stessa nel quadro di condotte più ampie che interessano la concorrenza tra imprese (ad esempio, cartelli, accordi restrittivi).
- Finalità:
- Pratiche commerciali scorrette: proteggere i diritti del consumatore e assicurare trasparenza nelle informazioni, contrastando condotte ingannevoli o aggressive.
- Concorrenza sleale: salvaguardare la leale competizione tra operatori economici e punire chi viola le regole della correttezza professionale.
La Sentenza 17037/2024 della Corte di Cassazione: sintesi e principi fondamentali
Secondo la massima estrapolata, la Suprema Corte ha chiarito che, nell’ambito di un procedimento civile tra imprenditori, il provvedimento emesso dall’AGCM su una pratica commerciale scorretta non può essere usato come prova automatica di illiceità per concorrenza sleale.
In altre parole, se l’AGCM ha sanzionato un’impresa per aver tenuto una condotta ingannevole o aggressiva verso i consumatori, ciò non significa che la stessa condotta costituisca necessariamente un atto di concorrenza sleale contro un altro imprenditore. Le due discipline, pur sfiorandosi, rispondono a esigenze di tutela differenti.
Le motivazioni alla base del provvedimento
La Corte di Cassazione si è soffermata in particolare sulle seguenti ragioni:
- Differenza di ambito soggettivo: la tutela contro le pratiche commerciali scorrette è orientata al consumatore, mentre la concorrenza sleale protegge altri imprenditori.
- Diversa finalità: l’AGCM sanziona l’impresa sulla base di parametri che riguardano la trasparenza nei confronti del consumatore, non la correttezza della competizione tra imprese.
- Distinta valenza del provvedimento AGCM: un provvedimento di condanna dell’AGCM è importante da un punto di vista fattuale, ma non può essere automaticamente trasposta in un giudizio di illecito concorrenziale, dove devono essere accertati specifici presupposti (come l’esistenza di un effettivo danno concorrenziale, la confusione tra prodotti, la denigrazione, ecc.).
Precedenti giurisprudenziali
La pronuncia 17037/2024 si innesta in un filone giurisprudenziale che già in passato aveva riconosciuto il doppio binario tra la tutela del consumatore e la tutela del concorrente. Già altre sentenze avevano segnalato che non basta la condanna da parte dell’Autorità garante per dimostrare in automatico un danno alla concorrenza.
La novità principale della sentenza in esame è l’enfasi posta sulla necessità di un autonomo accertamento dei presupposti di concorrenza sleale, senza che il giudice civile possa fare un “copia-incolla” dell’accertamento dell’AGCM in materia di pratiche commerciali scorrette.
Conseguenze pratiche della sentenza
Impatto sui giudizi civili tra imprese
Nei giudizi civili in cui un imprenditore citi un concorrente per atti di concorrenza sleale, la presenza di una sanzione AGCM per pratiche commerciali scorrette nei confronti di consumatori potrà essere indicativa di un modus operandi illecito, ma non sarà vincolante per il giudice.
Questi dovrà, infatti, verificare autonomamente se ricorrono i presupposti di cui all’art. 2598 c.c. o alla clausola generale di correttezza professionale. Ciò significa che le imprese, nel predisporre la loro difesa o nell’impostare le loro pretese, dovranno fondare la prova su elementi specifici e puntuali di concorrenza sleale, non potendo contare su un automatico travaso dal provvedimento dell’AGCM.
Concorrenza sleale e pratiche commerciali scorrette – Come tutelarsi: consigli operativi per le imprese
Prevenzione sul fronte delle pratiche commerciali scorrette
Per evitare sanzioni e danni reputazionali, le imprese dovrebbero adottare alcune buone prassi:
- Trasparenza nell’informazione: fornire con chiarezza tutte le informazioni utili al consumatore, evitando omissioni o indicazioni fuorvianti.
- Correttezza contrattuale: evitare clausole vessatorie o confusionarie nelle condizioni di vendita.
- Compliance interna: formare il personale sulle normative e sulle politiche di condotta verso il cliente, monitorando costantemente le azioni promozionali.
Prevenzione sul fronte della concorrenza sleale
Allo stesso modo, per non incorrere in accuse di concorrenza sleale:
- Rispetto dei segni distintivi altrui: non utilizzare marchi o denominazioni commerciali simili a quelle di concorrenti, evitando ogni atto di confusione.
- Comunicazione pubblicitaria: assicurarsi che non sia denigratoria verso i concorrenti e che non millanti qualità inesistenti (vanti).
- Riservatezza: tutelare i segreti industriali e non appropriarsi di conoscenze altrui in modo illecito.
Considerazioni conclusive
La Sentenza 17037 del 2024 della Corte di Cassazione conferma il parallelismo, che non corrisponde a sovrapponibilità, tra la tutela riservata ai consumatori e quella riservata ai concorrenti. La pronuncia evidenzia che un provvedimento dell’AGCM che sanziona una pratica commerciale scorretta non può essere traslato automaticamente nell’ambito del giudizio per concorrenza sleale.
Da un punto di vista pratico, per le aziende questo comporta la necessità di tenere presente che:
- Essere sanzionati dall’AGCM costituisce un segnale negativo e un potenziale indizio in un’eventuale causa civile, ma non determina automaticamente la propria responsabilità per atti di concorrenza sleale.
- Nel caso in cui siate voi a subire un danno da un concorrente, non potete basarvi unicamente sulle pronunce AGCM per vincere la causa: occorre provare l’esistenza di atti di confusione, denigrazione, appropriazione di pregi o altre forme di slealtà previste dal Codice Civile.
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