Il patto di non concorrenza per il lavoratore autonomo

Patto di non concorrenza lavoratore autonomo – Patto di non concorrenza libero professionista

Il patto di non concorrenza per il lavoratore autonomo è uno strumento contrattuale di grande rilievo nel panorama dei rapporti commerciali e professionali.

A differenza di quanto avviene per il lavoratore subordinato, dove la disciplina del patto di non concorrenza è più rigorosa e definita dal Codice Civile (in particolare dall’art. 2125 c.c., ai sensi del quale:

Il patto con il quale si limita lo svolgimento dell’attivita’ del prestatore di lavoro, per il tempo successivo alla cessazione del contratto, e’ nullo se non risulta da atto scritto, se non e’ pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e se il vincolo non e’ contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo. La durata del vincolo non puo’ essere superiore a cinque anni, se si tratta di dirigenti, e a tre anni negli altri casi. Se e’ pattuita una durata maggiore, essa si riduce nella misura indicata dal comma precedente.”), per i lavoratori autonomi e i liberi professionisti esiste uno spazio di libertà contrattuale più ampio, delineato dall’art. 2596 c.c., per il quale “Il patto che limita la concorrenza deve essere provato per iscritto. Esso e’ valido se circoscritto ad una determinata zona o ad una determinata attivita’, e non puo’ eccedere la durata di cinque anni. Se la durata del patto non e’ determinata o e’ stabilita per un periodo superiore a cinque anni, il patto e’ valido per la durata di un quinquennio”.

Ciò comporta la necessità di definire con particolare attenzione le clausole che limitano l’attività professionale, al fine di evitare sia la nullità del patto stesso, sia un’eventuale lesione della concorrenza.

Nel presente articolo, esamineremo cos’è il patto di non concorrenza e come si applica al lavoratore autonomo, quali sono le principali differenze rispetto al patto sottoscritto da un lavoratore dipendente, e come, e soprattutto SE viene retribuito il patto di non concorrenza nel contesto del lavoro autonomo. Infine, proporremo alcune linee guida pratiche per redigere una clausola di non concorrenza efficace e rispettosa delle normative vigenti.

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Cos’è il patto di non concorrenza e come si applica al lavoratore autonomo?

Il patto di non concorrenza è un accordo, solitamente inserito all’interno di un contratto principale (ad esempio un contratto di prestazione d’opera o un contratto di collaborazione professionale), in base al quale una parte si impegna a non svolgere attività in concorrenza con l’altra, per un determinato periodo di tempo e in un determinato ambito geografico e/o merceologico.

Nel rapporto di lavoro subordinato, il patto di non concorrenza è disciplinato in maniera specifica dall’articolo 2125 del Codice Civile, che, come abbiamo visto, impone il rispetto di determinati limiti di durata, di compenso e di oggetto affinché la clausola sia valida.

Viceversa, quando si parla di patto di non concorrenza per il lavoratore autonomo, si applica una norma molto più elastica (l’art. 2596 c.c. già citato). Questo maggiore margine di libertà contrattuale consente di costruire clausole più flessibili, ma al tempo stesso richiede una maggior cautela per evitare violazioni di norme imperative o contrasti con i principi dell’ordinamento.

Patto di non concorrenza per liberi professionisti

Per i lavoratori autonomi (come ad esempio consulenti, freelance, artigiani, professionisti dotati di partita IVA, ecc.), l’applicazione di una clausola di non concorrenza è di frequente incontrata in contratti di fornitura di servizi o in accordi di collaborazione continuativa. Tuttavia, non è raro trovare patti di non concorrenza anche in settori creativi o nell’ambito della consulenza direzionale, dove il know-how personale e le competenze rappresentano il principale valore economico.

A differenza di un dipendente, che soggiace a un vincolo di subordinazione e può essere più facilmente “tutelato” dalla legge, il lavoratore autonomo ha la facoltà di prestare la propria opera a soggetti diversi, purché non violi il contratto che ha sottoscritto. Nel redigere la clausola di non concorrenza, è quindi fondamentale che le parti concordino in maniera chiara:

  1. Durata del vincolo: non deve essere eccessiva per non ostacolare la possibilità di svolgere altre attività.
  2. Ambito geografico: deve essere definito in modo da non precludere ingiustificatamente l’esercizio della professione.
  3. Ambito merceologico o settoriale: deve essere correlato all’attività effettivamente esercitata dal professionista, onde evitare previsioni troppo ampie e indefinite.

Quando è valido il patto di non concorrenza per il libero professionista?

Sul piano legale, un patto di non concorrenza per il lavoratore autonomo non deve condurre a situazioni di monopolio o di eccessiva restrizione della libertà contrattuale. Questo aspetto è particolarmente delicato nel settore professionale, dove la concorrenza è regolata anche da ordini e collegi (ad esempio, Ordine degli Avvocati, Ordine dei Commercialisti, Ordine degli Ingegneri, e così via).

Una clausola troppo vincolante potrebbe essere passibile di sanzione o persino dichiarata nulla, qualora si ritenesse in contrasto con i principi dell’ordinamento in materia di libera concorrenza.

In cosa si differenzia il patto di non concorrenza del libero professionista da quello del lavoratore dipendente? Disciplina codicistica e fonti normative

Ci siamo già occupati in altri articoli di questo sito del patto di non concorrenza per i dipendenti. Per essi la fonte normativa principale è l’articolo 2125 c.c., che stabilisce una serie di parametri stringenti sulla validità del patto di non concorrenza: limiti di durata (massimo 3 anni per i lavoratori dipendenti e 5 anni per i dirigenti), obbligo di corrispondere un compenso adeguato e proporzionato al sacrificio richiesto, indicazione chiara dell’ambito merceologico e territoriale. L’obiettivo è garantire che il patto non costituisca un ostacolo ingiustificato alla futura occupabilità del lavoratore.

Nel caso del patto di non concorrenza per il libero professionista, si applica il già citato art. 2596 c.c., che fra l’altro non prevede alcun obbligo di compenso per il libero professionista. Ciò non toglie che debbano comunque essere rispettati i criteri generali stabiliti dall’Ordinamento, in particolare in termini di:

  • Buona fede contrattuale
  • Equità
  • Proporzionalità degli obblighi
  • Chiarezza della clausola

Nonostante l’assenza di una disciplina specifica, è prassi comune che la durata e l’ambito di applicazione del patto di non concorrenza siano comunque limitati e ben definiti. Questo perché, in caso di abuso (ad esempio, un patto di durata eccessivamente lunga o troppo esteso in ambito geografico), la clausola potrebbe essere giudicata nulla o parzialmente inefficace dal giudice in caso di contenzioso.

Patto di non concorrenza libero professionista: Subordinazione vs. autonomia

La subordinazione tipica del lavoro dipendente comporta che il datore di lavoro abbia un maggior controllo sulle mansioni del lavoratore, ma anche maggiori responsabilità sotto il profilo retributivo e previdenziale. Nell’ambito di un patto di non concorrenza, la legge tutela il dipendente perché quest’ultimo, cessato il rapporto, potrebbe trovarsi in seria difficoltà nel reperire una nuova occupazione se vincolato da un divieto totale di concorrenza.

Il libero professionista, invece, gode per definizione di una autonomia maggiore: gestisce la propria attività, la clientela, la scelta dei collaboratori, gli investimenti. Quando stipula un patto di non concorrenza, accetta di limitare in parte la propria operatività futura, ma con un margine di trattativa più elevato rispetto al dipendente. Proprio per questo motivo, è fondamentale che il professionista valuti attentamente il contenuto della clausola, accertandosi che non incida in modo eccessivo sulla sua possibilità di lavorare una volta terminato l’accordo con il cliente o l’azienda che richiede il patto di non concorrenza.

Patto di non concorrenza del lavoratore autonomo e Importanza del compenso

Nel lavoro subordinato, il compenso relativo al patto di non concorrenza (oltre alla retribuzione base) è espressamente richiesto dall’ordinamento, pena la nullità della clausola. Nel contesto autonomo, invece, le parti possono stabilire liberamente come e se corrispondere un corrispettivo aggiuntivo, anche se è prassi concordare un’indennità specifica, soprattutto quando la clausola limita in modo sensibile la libertà lavorativa del professionista.

Come, e soprattutto se, viene retribuito il patto di non concorrenza del lavoratore autonomo

Come abbiamo visto, non esiste alcun obbligo di retribuire il lavoratore autonomo per l’assunzione di un obbligo di non concorrenza. Se, e sottolineiamo se, alla luce del potere contrattuale delle parti e di ogni possibile elemento che possa incidere su tale elemento, detto compenso venga previsto, esso potrà assumere forme diverse.

La clausola di non concorrenza può prevedere:

  1. Un importo fisso una tantum: viene corrisposto al momento della sottoscrizione dell’accordo o alla cessazione del contratto, come corrispettivo per il vincolo.
  2. Un corrispettivo periodico: ad esempio, una somma mensile che il committente eroga al professionista per tutta la durata del vincolo di non concorrenza successiva alla cessazione del rapporto.
  3. Un meccanismo di “earn-out” o bonus: legato al raggiungimento di determinati obiettivi, oppure subordinato all’effettivo rispetto delle condizioni di non concorrenza in un determinato periodo.

Determinare l’ammontare

Non esiste una regola fissa su come quantificare il compenso del patto di non concorrenza per libero professionista, poiché dipende dalle circostanze concrete del caso, dall’importanza strategica del professionista e dal mercato di riferimento. In genere, si tiene conto:

  • Della durata del vincolo: più è lungo il periodo di non concorrenza, maggiore sarà il compenso.
  • Dell’ambito territoriale: se la clausola si estende a un territorio ampio, ciò avrà un’incidenza maggiore sulle possibilità di lavoro future, richiedendo un compenso più elevato.
  • Del valore del know-how: se il professionista possiede competenze specialistiche rilevanti e molto richieste, la rinuncia a sfruttarle in concorrenza per un certo periodo ha un costo economico che deve essere compensato adeguatamente.
  • Delle potenziali opportunità lavorative perse: se il patto di non concorrenza impedisce al professionista di rivolgersi a una fetta significativa di mercato, il compenso dovrà riflettere anche tale pregiudizio economico.

Vantaggi e svantaggi di un corrispettivo elevato

Da un lato, un corrispettivo elevato tutela il libero professionista, che riceve un risarcimento sostanzioso in cambio della rinuncia a operare in determinati settori o con determinati clienti. Dall’altro, il committente potrebbe vedere un vantaggio nel pagare un compenso più alto per garantirsi che il professionista non diventi un potenziale competitor.

Tuttavia, un corrispettivo troppo oneroso può spingere il committente a rinunciare alla clausola di non concorrenza o a ridurne la portata. Viceversa, un compenso troppo basso rischia di essere ritenuto iniquo e, in caso di contenzioso, il giudice potrebbe ravvisare un abuso della posizione contrattuale, annullando o rivedendo la clausola.

Come redigere una clausola di non concorrenza per il lavoratore autonomo efficace e valida

Di seguito, alcune linee guida pratiche per redigere un patto di non concorrenza per il lavoratore autonomo:

  1. Chiarezza nell’oggetto: individuare con precisione le attività e i settori in cui vige il divieto di concorrenza. Ad esempio, specificare i servizi che il professionista non potrà offrire in concorrenza con il committente, anziché ricorrere a formule generiche.
  2. Durata ragionevole: stabilire un periodo di tempo che non sia eccessivo. Alcuni accordi prevedono dai 6 ai 24 mesi post-contrattuali, ma tutto dipende dalle caratteristiche del caso.
  3. Ambito territoriale proporzionato: la clausola dovrebbe limitarsi ai luoghi in cui il committente opera e ha interessi commerciali concreti. Impedire al professionista di lavorare a livello globale, se il committente agisce solo sul territorio nazionale, sarebbe ingiustificato.
  4. Corrispettivo, laddove previsto, adeguato: definire un compenso proporzionale alle opportunità lavorative perse. Se la clausola è molto restrittiva, il compenso dovrà essere più elevato.
  5. Previsione di penali: inserire penali o meccanismi di risoluzione in caso di violazione del patto, ma sempre in modo proporzionato e senza eccedere nell’importo.
  6. Forma scritta e sottoscrizione:  trattandosi di una limitazione alla facoltà di contrattare con i terzi (caso espressamente previsto dall’art. 1341 comma 2, c.c., per il quale Le condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti sono efficaci nei confronti dell’altro, se al momento della conclusione del contratto questi le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza. In ogni caso non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilita’, facolta’ di recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell’altro contraente decadenze, limitazioni alla facolta’ di opporre eccezioni, restrizioni alla liberta’ contrattuale nei rapporti coi terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell’autorita’ giudiziaria), il patto di non concorrenza deve essere redatto per iscritto e firmato dalle parti, pena, se inserito in moduli o formulari l’inefficacia della clausola.

Patto di non concorrenza lavoratore autonomo: Profili di criticità e contenziosi

Nonostante le best practice poc’anzi individuate, i contenziosi in materia di patto di non concorrenza sono frequenti, soprattutto per quanto riguarda i limiti di applicazione e la congruità del compenso. In assenza di una normativa rigida come nel lavoro subordinato, i giudici tendono ad applicare i principi di buona fede ed equità contrattuale, valutando caso per caso se il patto limita in modo eccessivo la libertà economica del professionista o se il compenso stabilito (sempre “laddove” effettivmente stabilito) è congruo.

Inoltre, se la clausola risulta ambigua o non sufficientemente specifica, il professionista potrebbe trovarsi in una zona grigia, incerto su quali comportamenti concreti siano effettivamente vietati. Questo può creare conflitti interpretativi, che sfociano in controversie legali lunghe e costose.

Un altro aspetto da non sottovalutare è l’inerenza con il diritto della concorrenza in senso stretto: se il patto di non concorrenza coinvolge operatori economici in settori particolarmente delicati, come quello farmaceutico o tecnologico, potrebbe emergere il rischio di restrizioni anticoncorrenziali. In tali situazioni, la clausola potrebbe essere considerata contraria alle norme sulla concorrenza qualora alteri significativamente il mercato o costituisca un abuso di posizione dominante.

Riflessioni conclusive

Patto di non concorrenza libero professionista: è, in definitiva, uno strumento contrattuale che richiede un’attenta valutazione delle esigenze di entrambe le parti. Il committente desidera tutelare i propri interessi e know-how, evitando che l’ex collaboratore utilizzi le informazioni acquisite per fargli concorrenza immediata. Dall’altro lato, il lavoratore autonomo o il libero professionista ha necessità di preservare la propria capacità di guadagno e non precludersi opportunità future, mantenendo la libertà necessaria a esercitare la professione in maniera efficace.

Per scongiurare il rischio di nullità o di riduzione degli effetti del patto, è consigliabile rivolgersi a professionisti esperti in diritto d’impresa e della concorrenza. Solo attraverso una consulenza legale specializzata è possibile calibrare con esattezza clausole equilibrate, in grado di far valere le esigenze di protezione del committente e garantire, al contempo, la libertà professionale del lavoratore autonomo.

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